venerdì 25 dicembre 2015

Generi di conforto

Parole.
Gesti.
Pietanze.

Una carezza, una mano posata con discrezione a sfiorare e lenire un dolore o un timore. In un gesto trattenuto, il desiderio di condividere una gioia, quando non di soffrire insieme.
Pagine sulle quali, una volta tanto, riesce difficile restare, mentre la mente continua a spostarsi altrove. Righe rilette all’infinito eppure, in ognuna di queste infinite volte, istantaneamente dimenticate.
Consistenze morbide, vapori speziati o agrumati, sapori che avvolgono e riconducono da quell’altrove.

Dicono che il libro migliore sia quello che paradossalmente riesce quasi a negare se stesso, conducendo il lettore a volerne interrompere di frequente la lettura, sollevare lo sguardo e lasciarlo vagare oltre l’orizzonte. Lasciandosi così istantaneamente diventare altro, altre parole, altri pensieri, vecchi ricordi o nuove immaginazioni.
Allora anche il piatto migliore non dovrebbe fare altrettanto?